La scelta del fascismo, complici le classi dirigenti, e la monarchia, di portare nel giugno del 1940 in guerra l’Italia, fu scellerata. Tre anni dopo nell’estate del 1943 il Paese si trovò a subire una duplice capitolazione, prima firmando la resa incondizionata imposta dagli anglo-americani, e poi  l’occupazione tedesca.  Nell’estate del 1943 l’Italia poteva vantare soltanto primati negativi: la disfatta del corpo di spedizione inviato in Russia, la perdita delle colonie in Africa, la distruzione del presidio di Pantelleria, l’invasione della Sicilia, migliaia di morti e dispersi fra i giovani soldati.

Produzioni di armi presso lo stabilimento Isotta Fraschini di Saronno.

Equivoci e ipocrisie

Gli scioperi del marzo 1943 a cui avevano aderito anche gli operai della provincia di Varese erano stati il primo sintomo di un malessere diffuso nella società italiana, i massicci bombardamenti sulle città, in particolare quello del 19 luglio 1943 sul quartiere S. Lorenzo a Roma servirono a scuotere ulteriormente la popolazione. I dirigenti fascisti con l’ordine del giorno del Gran Consiglio che toglieva la fiducia a Mussolini arrivarono soltanto dopo, quando ormai era evidente che l’Italia non avrebbe retto all’avanzata degli alleati sbarcati in Sicilia. Quel 25 luglio 1943, arrestato Mussolini, gli italiani esplosero in manifestazioni di giubilo illusi di essersi liberati contemporaneamente del fascismo e della guerra. Il re conferì l’incarico di capo del governo al Maresciallo Pietro Badoglio che invece aprì un periodo di equivoci e ipocrisie fino all’8 settembre del 1943 quando fu forzato a rendere pubblico l’armistizio che nel frattempo aveva firmato con gli anglo – americani. 

Relativa tranquillità

In provincia di Varese, fino al 25 luglio 1943 le pessime notizie che giungevano dal fronte di guerra non avevano scalfito più di tanto la vita delle popolazioni che avevano goduto di una relativa tranquillità e anche di una situazione economica accettabile, frutto della presenza di un’industria diffusa che distribuiva salari ai numerosi dipendenti. Il 1° luglio 1943, il prefetto e il podestà di Varese inauguravano il lido alla Schiranna e i varesini realizzavano il sogno del “mare” dietro casa. La celebrata provincia industriale viveva le medesime sindromi del Paese per molti anni adagiato nella propaganda che ne magnificava le condizioni. A turbare il clima qualche rara notizia sui caduti in guerra veniva fornita dalla “Cronaca Prealpina”. Il 25 luglio 1943 la notizia della defenestrazione di Mussolini fu accolta in numerose località con manifestazioni di giubilo, protagonisti soprattutto i giovani. Segno che le nuove generazioni prendevano le distanze dal regime. 

Attaccati al potere

I fascisti, come nel resto d’Italia, si eclissarono. Il partito che aveva dominato la scena per un ventennio si polverizzò. Non sempre però gli esponenti che detenevano il potere amministrativo si fecero da parte. Il radicamento degli interessi era tale che neppure i rischi derivanti dall’instabilità politica  fecero recedere le classi dirigenti locali. A Varese il podestà Domenico Castelletti nonostante l’arresto di Mussolini, rimase indefessamente attaccato alla sua carica amministrativa, senza alcuna soluzione di continuità; lo ritroveremo il 12 settembre 1943 firmatario, insieme al prefetto, di un appello  che invitava la popolazione a mantenersi calma di fronte all’arrivo del presidio tedesco.  A Gallarate il podestà Franco Puricelli-Guerra  che poteva vantare una lunga presenza nella vita amministrativa del ventennio (in carica fra il 1932 – 1934 e fra il 1936 – 1943) dimessosi il 18 maggio, anticipando la crisi del luglio, fu  sostituito dal suo vice Enrico Villa. Quest’ultimo però non riuscì a superare indenne l’8 settembre 1943 quando fu costretto a dimettersi.

Molte discussioni

A Busto Arsizio il podestà Ercole Lualdi, erede di una nota famiglia di industriali, si fece da parte e il prefetto Laura il 31 agosto 1943 nominò commissario prefettizio Carlo Azimonti, che era stato sindaco socialista dal 1914 al 1922 quando era stato estromesso dai fascisti. Il 2 settembre 1943 Azimonti, in un eccesso di ottimismo, scriveva: Nell’atmosfera delle costituzionali libertà che vanno faticosamente ristabilendosi, e con l’appoggio di uomini di ogni partito […] mi accingo al duro compito […] nell’adempimento provvisorio del mandato fino al giorno , che auguro non lontano, delle libere elezioni. Azimonti, fra alterne traversie, tenne la scena a Busto anche nei mesi successivi, durante la Repubblica sociale italiana. Una scelta che aprirà molte discussioni fra gli storici. Compromissione col fascismo della RSI del vecchio sindacalista della CGL? Oppure encomiabile sacrificio, spirito di servizio per contribuire a salvare i concittadini dalle tragiche condizioni imposte dai tempi?

Industriale di successo

A Saronno il podestà, l’industriale Giulio Riva che durante  le guerre del fascismo (a partire da quella d’Etiopia e a seguire il conflitto in Spagna e poi quello in corso) aveva con i tessuti prodotti nei suoi stabilimenti, sparsi fra Lombardia e Piemonte, contribuito a fornire stoffa per le divise delle camice nere e dell’esercito italiano, si eclissava lasciando a rappresentarlo il vice podestà Luigi Farina. Sarebbe ricomparso nel dopoguerra celebrato industriale di successo.

L’apparato produttivo della provincia, nonostante la crisi politica, ridusse la sua attività ma non si fermò. La fabbrica rappresentò per industriali e lavoratori un organismo da preservare indipendentemente dalla destinazione delle merci prodotte. Fu un’intesa silente per garantire alla popolazione il presente e soprattutto per il futuro. 

Spediti nei lager

Dopo l’ufficializzazione dell’armistizio che annunciava l’immediata fine delle ostilità, il generale Vittorio Ruggero, comandante militare della piazza di Milano, nonostante la volontà degli antifascisti milanesi di costituire la Guardia nazionale e mobilitare i cittadini per battersi contro i tedeschi, mantenne una posizione di ambiguità fino a trattare con i nuovi invasori un accordo che fu disatteso. Il radio messaggio di Ruggero fu trasmesso alle popolazioni di Milano, Varese e Como il giorno 9 settembre. Il giorno 11 settembre “Cronaca Prealpina”  pubblicò in prima pagina il comunicato. L’11 settembre 1943 il generale Ruggero si arrese ai tedeschi in prefettura a Milano. Le truppe italiane fra Milano e il resto della Lombardia si sbandarono, consegnate le armi furono inviate in Germania. Ruggero fu la prima vittima della sua stessa arrendevolezza, fermato dai tedeschi, fu spedito in un lager in Polonia insieme a migliaia di soldati italiani.

Chi non si arrese

Centinaia di persone incominciarono a premere sui valichi per la Svizzera per sfuggire all’occupazione tedesca. Il 12 settembre il Reggimento Savoia Cavalleria  che si stava ricostituendo dopo le sanguinose battaglie in Russia e si  addestrava a Somma Lombardo, dove si trovava un deposito reggimentale, si spostò al varco di confine della Cantinetta, non lontano da Ligornetto (Canton Ticino). 15 ufficiali, 642 fra sottufficiali e reclute, con 316 cavalli e 9 muli, armi, munizioni e viveri abbandonarono l’Italia. Il comandante Vito Piscicelli di Collesano valutò impossibile opporsi con reclute in fase di addestramento a truppe tedesche esperte e portò il reparto al di là del confine. Non mancò chi decise di non arrendersi come il colonnello Carlo Croce che  di fronte al proclama di Badoglio reagì organizzando fra Luino e Laveno, sul S. Martino, il gruppo “Cinque Giornate” che si batté senza speranza contro tedeschi e repubblichini nel novembre ‘43.   

Repubblica sociale

Il 12 settembre le truppe tedesche occuparono le province di Varese e Como. A Varese la Compagnia di SS al comando dello Scharführer Manfred Gauglitz fu accolta dal podestà che consegnò le chiavi della città. La guardia tedesca di frontiera occupò  nel frattempo il confine fra Como e il Lago Maggiore. Nell’arco di pochi giorni i tedeschi misero sotto controllo il sistema industriale legato alla produzione militare o interessato alle forniture belliche. Liberato Mussolini il 12 settembre, dopo pochi giorni, il 23 si costituì la Repubblica Sociale Italiana sotto tutela tedesca. 

Nuovi capi della città

L’8 ottobre fu riaperto a Varese il Palazzo Littorio, ricomparvero i fascisti e si ricostituì il Pnf che designò i nuovi capi nelle città e nei paesi della provincia che tanto nuovi non erano. Spesso si trattava di fascisti della prima ora, di diciannovisti, fedeli a Mussolini da sempre. La sede dei Fasci repubblicani fu riaperta il 9 ottobre 1943, nel frattempo il generale Graziani costituiva le Forze armate della Repubblica sociale e riprese a funzionare il distretto militare. Fu nominato il nuovo prefetto Pietro Giacone che dal 16 ottobre 1943 ridusse il coprifuoco di un’ora, dalle ore 22.00 alle ore 5.00 del mattino, segno che le truppe di occupazione tedesche e gli alleati fascisti si sentivano più sicuri.

Le Leggi razziali

Il 19 ottobre 1943 comparve sulla “Cronaca Prealpina” un articolo titolato I nostri internati che forniva le prime informazioni sui soldati italiani rastrellati dopo l’8 settembre e inviati in Germania. I familiari dei circa 700 000 soldati e ufficiali in pena per i loro congiunti cercavano disperatamente notizie. Un articolo, a dir poco servile, giustificava l’operato tedesco: Nella loro grande massa essi si rendono pienamente conto della necessità in cui si è trovata la Germania di prendere delle misure d’ordine generale, applicandole con la massima celerità possibile e in base alle sue imprescindibili esigenze di sicurezza. Un modo per dire che il fascismo di Salò era schierato con l’alleato nazista e giustificava le violenze germaniche contro i soldati italiani. Il tragico 1943 si chiuse con l’inasprimento delle leggi razziali che giustificarono i rastrellamenti degli ebrei e il loro invio nei campi di sterminio. Sarebbero trascorsi altri due anni prima della Liberazione.

Giuseppe Nigro

Pubblicato su “Prealpina”, Venerdì 22 settembre 2023.