Siamo nel 1762, un giovane di Uboldo, Paolo Antonio Croce, denuncia il vice-curato del paese Ignazio Faroldi per aver “molestato” la sorella Marianna. L’antefatto: Marianna Croce partecipa insieme al fratello e ai famigliari al pellegrinaggio delle quarant’ore che vede coinvolti i paesani di Uboldo, il parroco e il vice-curato.

L’adorazione eucaristica del Santissimo Sacramento era stata introdotta nell’ordinamento religioso da S. Carlo Borromeo nel 1576, la pratica religiosa si era consolidata nel tempo e copriva i 24 giorni del carnevale. Nel 1731 assume le forme definitive che si conoscono anche oggi. Il rito, com’è noto, risulta legato all’antica tradizione biblica delle intercessioni per pubbliche necessità.
Nell’Alto Milanese le processioni delle quarant’ore, provenienti dai paesi della plaga, che si recavano in pellegrinaggio al Santuario della Beata Vergine di Saronno erano piuttosto diffuse. Da Uboldo per la via di Oleggio i contadini raggiungevano il Santuario di Saronno con un tragitto piuttosto breve. Non mancavano fra i pellegrini le pute di marito che soglino donare una candela di cera conforme alla loro divozione. L’auspicio che la Madonna facilitasse il matrimonio che all’epoca era governato da regole precise era fra le intercessioni più richieste.

Il matrimonio era all’epoca governato da regole e consuetudini piuttosto rigorose; innanzitutto le fanciulle per sposarsi dovevano possedere una dote, compito cui provvedeva la famiglia quando era in grado, oppure la chiesa se la povertà non consentiva. Garantita la dote, per la donna i margini di autonomia per contrarre matrimonio rimanevano comunque piuttosto limitati. Le famiglie affidavano ad un sensale (camarada, o marossee, termine di origine longobarda) il compito di combinare il matrimonio. Il marossee si adoperava mettendo in contatto le famiglie dello sposo e della sposa per un modesto compenso, spesso si trattava di un oggetto personale, raramente di denaro. Per l’intermediazione, fondamentale per il marossee era conoscere il valore della dote della fanciulla condizione per individuare uno sposo di pari livello sociale.

La compatibilità sociale, una consuetudine apprezzata dai contadini e dagli artigiani e sostenuta dalla chiesa che osteggiava i matrimoni con disparaggio di natali, era il principio che guidava il sensale. Ci si sposava non oltre i 25 anni. Una donna che raggiungeva i 25 – 27 anni era ritenuta una zitella. Il matrimonio era importante anche per salire di considerazione all’interno della famiglia allargata, dove soltanto chi aveva contratto matrimonio partecipava alle decisioni. Quando in una famiglia veniva a mancare il capofamiglia le responsabilità ricadevano sul primo figlio maschio sposato, solo in assenza, era la vedova ad assumersi il ruolo di guida della famiglia.

Marianna Croce era da tempo promessa ad un tale che si chiamava Angelino ma la situazione non evolveva, presumibilmente perché le intese sulla dote si erano complicate. In occasione del pellegrinaggio il vice-curato si avvicina alla giovane che si accompagnava ai familiari per discutere direttamente degli accordi di matrimonio. Vi è da supporre fosse spinto dal promesso sposo che si trovava non lontano e partecipe dello stesso pellegrinaggio.
A quel punto il fratello di Marianna, Paolo Antonio, disapprovando la sorella che aveva interloquito con il vice-curato, le ordina di riavvicinarsi al nucleo dei congiunti e non appena a portata le molla un sonoro schiaffone. La situazione si fa tesa e fra il prete e Paolo Antonio corrono parole ingiuriose, minacce che si concludono con una rissa fra i due.

Che cosa era accaduto? Come poteva spiegarsi una rissa violenta durante una processione religiosa? Paolo Antonio non accetta che il prete si fosse assunto la funzione di marossee. Per di più, combinando un incontro fra i fidanzati durante la processione come se entrambi potessero decidere direttamente del loro futuro. Il fratello di Marianna, ipotizzando che fosse il capofamiglia, era stato in tal modo pubblicamente delegittimato.
Uboldo aveva in quegli anni meno di mille abitanti, tutti religiosi, e impegnati nel pellegrinaggio, il fatto quindi era avvenuto di fronte all’intero paese. Paolo Antonio non poteva tollerare un simile disconoscimento e difese il suo ruolo con determinazione, persino con violenza, contro un rappresentante della chiesa.

Cosa difendeva il vice-curato? L’amore di Marianna e Angelino? Le autorità ecclesiastiche orientavano le famiglie affinché non trascorresse troppo tempo dalla promessa di matrimonio alla celebrazione delle nozze. Non si voleva in tal modo che per i fidanzati potessero nascere situazioni di eccessiva intimità. Per la circostanza, però, era stato proprio il clero a costruire le condizioni per quell’incontro, seppure alla luce del sole, ma ritenuto inopportuno dalla pubblica morale. Perché disattendere ad una consuetudine? Per di più durante un rito religioso?

I mesi più adatti per i contadini per celebrare le nozze erano gennaio e febbraio quando il lavoro nei campi era fermo. Il vice-curato e il parroco quasi certamente spingevano per la rapida celebrazione del matrimonio perché era prossima la quaresima, periodo insieme all’avvento, durante i quali era di norma vietato sposarsi.

Dopo la lite pubblica, Paolo Antonio esasperato, per riacquistare la considerazione pubblica, denuncia all’autorità giudiziaria il vice-curato. Il processo fu celebrato prima di Pasqua, i testimoni chiamati a deporre spiegano il ruolo avuto dal vice-curato nel “molestare” la giovane, cioè nell’averla convinta a incontrarsi con Angelino. Paolo Antonio aveva chiesto legittimamente a Marianna di comportarsi con decoro in pubblico e la presenza del vice-curato non autorizzava ad “accompagnarsi” ad Angelino, il loro contegno avrebbe potuto apparire sconveniente alla gente del paese .
Trascorsi alcuni giorni dalla prima udienza Paolo Antonio decide di ritirare la denuncia. Egli dichiara di aver “appianato” la controversia con il vice-curato. A Paolo Antonio interessava dimostrare agli occhi dei compaesani che neppure il clero poteva decidere ciò che nella famiglia spettava soltanto a lui. Vi era riuscito.
Terminato bruscamente il processo vengono a mancare ulteriori notizie e non sapremo mai se Marianna e Angelino convolarono a nozze.

Rielaborazione di Giuseppe Nigro

Fonte: Elena De Marchi, Dai campi alle filande. Famiglia, matrimonio e lavoro nella “pianura dell’Olona” (1750-1850), FrancoAngeli, Milano, 2009